Memorie
del corpo
Mirella
Tammelleo
Francesca
Poto ha indagato costantemente, nel corso della sua carriera,
le tecniche sperimentali dell'incisione. Nella sua pratica quotidiana
con i procedimenti di stampa in cavo, ovvero lavorando all'incisione
diretta quanto a quella indiretta, ha utilizzato con sapienza
strumenti tra i più diversi: bulino, puntasecca, acquatinta,
acquaforte, fino ad opus mallei, roulette, berceau e goffrato.
Se la granitura del carborundum, nelle sue opere, obbedisce
alla necessità di avere sul foglio un nero assoluto, le paste
acriliche le consentono di ottenere quel goffrage che è un particolare
effetto di bassorilievo da lei utilizzato a cornice di più matrici
assemblate insieme; laddove invece intende rendere ancora più
raffinato, se è possibile, il suo lavoro, ricorre alla foglia
d'oro, dando una nota di preziosità alla carta.
Una
svolta segna la sua produzione recente, del 2010, costituita
da cinque incisioni a puntasecca su PVC; non si tratta di un
superamento del lavoro precedente, quanto piuttosto di una volontà
di investigare nuovi supporti. E così l'artista è approdata
dalla carta alla stampa digitale su plexiglas, ricercando con
questo passaggio un'esasperazione del segno, prima inciso, poi
digitalizzato, infine stampato su un materiale plastico che
è molto più trasparente del vetro, in grado di conferire ai
colori una lucentezza maggiore. Esasperazione del segno, quindi,
che si aggiunge alla brillantezza cromatica, coniugando il tratteggio
serrato della puntasecca con la trasparenza del supporto, raggiungendo
esiti di una levità e di un nitore sorprendenti: una sensazione
di leggerezza, che è frutto della volontà dell'artista di rendere
quanto più delicato ciò che è stato in realtà possibile solo
attraverso un duro lavoro di scavo nella matrice, che equipara
l'opera dell'incisore a quella dello scultore, utilizzando,
di questo, finanche gli stessi strumenti, come raschietti, bulini,
rotelle, mezzelune, trapani, frese.
La
specificità della tecnica, dunque, risulta pregnante per Francesca
Poto, che ama dell'incisione proprio il rapporto diretto con
la materia. È una scelta che assume in lei, a mio avviso, anche
un significato etico, come procedimento che non consente approssimazioni
ed obbliga ad un estremo rigore nell'uso della puntasecca come
del bulino, nei modi come nei tempi di morsura.
Gli ultimi lavori hanno come oggetto di indagine la tematica
della memoria, personificata nell'opera Mnemosyne, che dà anche
il titolo alla mostra. Nell'incisione la dea della memoria compare
sotto sembianze di donna contemporanea; nel suo volto intenso
si ravvisa una sintesi tra la pienezza di vita, che è in realtà
espressione del bagaglio di cose vedute ed apprese nel tempo,
e la leggerezza del disegno inciso dall'artista. Ma una lettura,
o meglio una interpretazione, che tenta di essere esaustiva
di questo ciclo di opere, tende anche a vedere nella memoria
l'unico mondo ulteriore dove è possibile vivere dopo la morte.
Incentrata
su questo tema è l'opera intitolata Erme, costituita dalla ripetizione
seriale di una stessa figura, quella centrale caratterizzata
dalle dominanti cromatiche calde - arancio, rosso, porpora -
e altre quattro disposte specularmente, a coppie di due, in
blu; è una citazione di un cippo sepolcrale, di un'erma appunto,
di valore commemorativo, affinché nel tempo, di quella presenza,
verosimilmente un autoritratto, resti una testimonianza, ovvero
una memoria.
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Nell'opera
Undressed Body si percepisce la presenza di un corpo che esisteva
e non è più, vi è l'assenza di quel corpo, percepibile sensibilmente
però nella forma, dunque ancora presente. Ad essere disegnato,
in questa incisione, è solo un abito rosso ed una ciocca nera;
è abilmente costruita dunque l'assenza di chi abitava quel corpo.
È un'idea che accomuna questo lavoro a quello di uno dei più importanti
artisti del nostro tempo, Christian Boltanski, che nelle sue opere
affronta il tema dell'Olocausto lavorando su grandi archivi di
vecchie fotografie, oggetti ritrovati, abiti dismessi che conservando
ancora l'odore di chi li ha indossati, ne trattengono l'esistenza
stessa, quindi la "memoria". Proprio in una recente installazione,
realizzata nel 2010 al Grand Palais di Parigi ed intitolata Personnes,
egli ha disposto centinaia di vestiti a terra a rappresentare
i corpi delle persone scomparse; è una processione di presenze/assenze
comparabile solo al lavoro dell'israeliano Menashe Kadishman,
che nell'installazione Shalechet (Fallen Leaves) ha sistemato
sul pavimento del Jüdisches Museum di Berlino decine di migliaia
di dischi in ferro che riproducono forme volutamente sommarie
di teste con bocche spalancate o urlanti. In tutte queste opere
è il concetto di assenza ad essere enfatizzato. Nell'abito rosso
senza corpo di Undressed Body, Francesca Poto rievoca, così, il
ricordo di una presenza persistente nel tempo. Il filosofo Giorgio
Agamben, analizzando gli stermini perpetrati durante il secondo
conflitto mondiale, ha parlato dell'importanza di ascoltare non
tanto la voce dei testimoni, quanto la voce intestimoniabile,
la "presenza senza volto" che ogni testimonianza necessariamente
contiene. Ma Undressed Body è, dal punto di vista della forma,
anche calligrafia, come dimostra la ciocca nera di capelli che
è segno e simbolo dal forte richiamo orientale.
Segno
altrettanto icastico è quello della croce nell'incisione Soul
Dressing (Blue), punto di riferimento costante nella storia, al
di là della sua valenza religiosa; è infatti immagine stessa dell'uomo
che identifica nella verticalità la sua condizione di esistenza
e nell'orizzontalità la direzione della sua azione; ma è anche
simbolo della risoluzione dialettica degli opposti: maschio/femmina,
razionalità/intuizione, verticalità/orizzontalità, vita/morte.
Conclude
il ciclo l'incisione che porta il nome di un'opera dell'artista
Magdalena Abakanowicz, una delle personalità più importanti nell'ambito
della scultura contemporanea; è Abakan 1969, che riproduce un
lavoro monumentale in tessuto sisal rosso della scultrice polacca,
osservata da un ipotetico spettatore tracciato in un profilo essenziale
con un tratto rapido. Questa forma tridimensionale si rivela lentamente
come presenza metaforica che allude all'anatomia e alla sessualità
femminile, e in tale ottica la citazione s'inserisce all'interno
della tematica della presenza/assenza portata avanti dalla Poto;
nell'incisione, infatti, il drappo rosso può intendersi come allusione
alla fisicità di un corpo di donna, oppure farsi abito ipotizzando
l'esistenza di qualcuno che lo indossi, proprio come in Undressed
Body: d'altro canto è la semantica stessa ad attribuire alla parola
"abito" un duplice significato: "avere dimora, abitare", ovvero
essere in qualche luogo, esistere, e "veste, indumento". Le parole
quindi, come sosteneva Artaud, ma anche le immagini, oltre che
del "senso logico", si nutrono di ulteriori sensi, principalmente
metaforico e "incantatorio", attraverso "la forma e le loro emanazioni
sensibili".
La tentazione di scoprire dell'altro, di "sapere più cose", che
secondo Omero induceva i marinai ad ascoltare le Sirene, custodi
dell'onniscienza - tematica che ha fortemente interessato Francesca
Poto in anni recenti -, spinge ancora oggi ad andare oltre ciò
che è visibile solo in superficie per giungere alla vera essenza
delle cose.
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